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FATTI: Peste di San Carlo - 1576


Sarà il momento particolare, sarà che il termine “epidemia” (o peggio ancora “pandemia”) siano oggi normali in ogni conversazione, sarà il fatto che il lodigiano (ma soprattutto il CASTRUM dove vivo) è in pieno centro della famigerata “zona rossa” del Coronavirus (COVID-19 come ama farsi chiamare dagli esperti), ebbene tutto questo non mi ha potuto che far pensare a come la nostra zona ne abbia, nel corso della sua storia, viste di peggio.
Una sciagura su tutte, tanto da diventare sinonimo stessa di piaga e paura: la peste.

La peste in effetti ha visitato più volte l’Italia…
Nel ‘300 fu la peste nera ad affacciarsi nella nostra penisola prendendo di mira soprattutto Firenze ed è addirittura Boccaccio a darcene testimonianza come solo lui poteva fare, con un inno alla gioia di vivere: il Decamerone.
Del 1630 è invece la pestilenza che forse ha mietuto maggiori vittime (165.000 nella sola Milano) più del 75% della popolazione colpita con una mortalità del 60% (praticamente una sentenza di morte se poi pensate che l’attuale COVID-19 che ci spaventa tanto ha una mortalità dello 0,02%). Anche questa pestilenza ha avuto un narratore di tutto rispetto: Alessandro Manzoni che con suoi Promessi Sposi e un uso scrupoloso delle fonti originali dell’epoca ci regala un racconto vivido e realistico portando la guarigione dalla peste ad un punto altissimo nella provvidenza e carità di Dio.
Eppure lo stesso Manzoni menziona una peste, precedente a quella da lui narrata, senza dubbio meno documentata e anche per questo avvolta nel mistero e capace di lasciare segni nella Milano di quasi un secolo dopo. 
La peste di San Carlo.
Ho scelto di concentrarmi su questo flagello in particolare perché, nonostante quella del 1630 fosse maggiormente documentata, questa ha conservato un velo di mistero non indifferente unito all’eco dei suoi protagonisti, San Carlo Borromeo in primis, ma soprattutto perché è dell’epidemia del 1576 che si ha traccia nel bassa lodigiano con un decesso accertato a Camairago (ora Castelgerondo) pare proprio tra i famigli di quel San Carlo che qui aveva (e la sua famiglia ha ancora) una splendida residenza.


Quindi cosa sappiamo per certo della peste del 1576?

Intanto sappiamo che colse del tutto impreparata la popolazione di ogni classe sociale. Si sapeva ovviamente che cosa fosse la peste, ma non se ne conosceva né lo sviluppo (e questo sarà vero ancora sessant’anni dopo) né la provenienza (mentre per quella del 1630 gli abitanti dell’epoca sapevano essere portata dalle truppe lanzichenecchi).
Scoppiò nel maggio del 1576 e l’arrivo dell’estate e le temperature calde portarono una condizione climatica estremamente favorevole al diffondersi della malattia. Fu soltanto ad ottobre che il contagio diminuì per scomparire del tutto con l’inverno dei primi mesi del 1577.
Milano fu senza dubbio la città più colpita, le poche fonti parlano di circa 100 morti al giorno in città per un totale finale di circa 15.000 morti causati dal morbo (i ⅔ della popolazione).
Tanti furono coloro che, potendo, abbandonarono la città per la campagna sperando appunto che la minor concentrazione umana aiutasse ad evitare il contagio (a livello concettuale il ragionamento funzionava benissimo e peccato non sia valso a nulla se rapportato a questi giorni nella bassa lodigiana); ma, per tanti che abbandonarono Milano, ce ne fu uno, e che uomo, che invece pur essendo lontano in quel momento dalla città si affrettò a raggiungerla per portarvi il suo aiuto: Carlo Borromeo (all’epoca 38enne cardinale e vescovo di Milano) che allo scoppio dell’epidemia si trovava appunto nei suoi possedimenti di Camairago.
Tutte le più alte autorità della città erano fuggite e il Cardinale Borromeo si trovava nella non invidiabile situazione di essere il punto focale, non solo spirituale ma anche organizzativo di tutta la popolazione. Era fermamente convinto che la peste fosse una punizione per l’allontanamento delle persone dalla fede e quindi istituì e guidò in prima persona processioni per tutta la città, ma al tempo stesso non voleva che le persone infette vi partecipassero, anzi le processioni (principalmente composte da uomini di chiesa) avevano lo scopo di portare la parola di Cristo a tutti e soprattutto a coloro che erano chiusi in casa per la quarantena per far appunto sentire che la chiesa e Cristo era loro vicino. Non mancano le testimonianze per cui lo stesso cardinale, a rischio della propria salute, accudiva e portava conforto agli ammalati nel Lazzaretto (che aveva fatto erigere vicino porta San Giorgio e che sarebbe poi servito e ampliato per la peste del Manzoni). Oltre a qualcosa di fisico come il Lazzaretto aveva anche fatto realizzare a sue spese una serie di opuscoli con le più semplici precauzioni igieniche e destinato tutto il suo patrimonio al sostentamento dei poveri e dei bisognosi colpiti dalla peste.

Per concludere e far comprendere esattamente quanto questo GRAND'UOMO avesse a cuore la sua gente, citerei un brano dalla biografia di San Carlo scritta dal suo segretario personale.

Un giorno, durante i suoi giri in città, il cardinale Carlo venne colpito dal pianto di un bambino. Fattosi portare una scala, cominciò a salire alla finestra e trovò in una stanza un bambino che piangeva tra i cadaveri dei genitori. Avviluppato il bambino nel sua mantella cardinalizia, scese la scala e si dette a cercare una famiglia per l’orfano. [...] disse: “è stata fligliuoli la grande misericordia di Dio”.

È in momenti così difficili, come quelli che stiamo vivendo, che dobbiamo ricordarci cosa sia davvero importante e come la paura, per quanto motivata sia (se poi lo è davvero alla luce di quello a cui i nostri avi sono sopravvissuti), ci faccia dimenticare chi davvero siamo o meglio chi potremmo essere.

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FONTI


  1. Vita e opere di Carlo arcivescovo di Milano cardinale di S. Prassede - autore Carlo Bescapè -  Ed. Milano 1965 - a cura della venerabile fabbrica del Duomo

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