Qualche post fa avevo lanciato (in totale autonomia) l’idea, prima o poi, di dedicare un trafiletto alla cucina, ovviamente quella tardo-medievale e rinascimentale, in cui cominciavano ad affacciarsi modi di fare e piatti che avrebbero poi fatto parte della nostra attuale tradizione, anche se con differenze in termini di gusti, sapori e accoppiamenti maggiormente ricercati.
Cerchiamo quindi di esplorare
una ipotetica tavola imbandita nel mio "caro" 1500 (o giù di lì)...
Innanzitutto preciso che
porterò l'attenzione sui grandi pranzi e i banchetti nobiliari: motivo
principale è che questi ebbero spazio nelle cronache del tempo (quindi abbiamo
a disposizione fonti attendibili); secondariamente perché, nella cucina di
tutti i giorni, prevalevano ortaggi, legumi, frutta e cacciagione di facile
reperibilità, senza particolari preparazioni, richieste invece dai palati più "raffinati" dei nobili dell'epoca.
Partiamo con un estratto di "CASTRUM" giusto per creare l’atmosfera…
Il pranzo è rumoroso, come si conviene. Le varie portate sono accolte da commenti e precisazioni; specialmente Luccio non perde occasione per elogiare il lavoro del padre, che per l'occasione è stato chiamato a fare da cuoco: questo soprattutto in occasione dell'arrivo di un piatto di riso. Lo definisce una specialità della locanda di Zuso, servito solo in occasioni speciali: si tratta di riso bollito con latte grasso e burro in acqua con petali di rosa, poi, una volta abbrustolito leggermente in forno, è ricoperto di zucchero e cannella. L'effetto che ha sugli invitati è di assoluto consenso. A seguire, in un crescendo di gusto, fagiani e anatre arrosto, cibi principi della tavola, suscitano quasi un'ovazione. Lo stupore però deve ancora farsi largo. I dolci sono una meraviglia artistica. Con zucchero e chiara d'uovo, Zuso ha creato delle riproduzioni molto fedeli del castello e delle chiese del paese che, disposte con ordine sulla tavola, danno come l'impressione di sorvolare a volo d'uccello tutto il borgo.
- Tuo padre ha davvero un gran talento Luccio. – interviene Valente – Una cosa del genere l'ho sentita decantare solo in alcuni racconti di un banchetto offerto a Beatrice d'Este in visita alla Serenissima.
Non sembra ma queste poche
righe (e forse un altro cenno al cibo nel corso del romanzo) mi impegnarono,
all’epoca della sua stesura, più di molti altri capitoli la cui storia avevo
già in testa e che filavano veloci sulla pagina. Invece per queste parti culinarie
avevo dovuto (e voluto) fare un bel po' di ricerca ed ora vengo a proporvi quanto
avevo scoperto...
DURATA
Premessa: i banchetti erano
una cosa seria all'epoca e non soltanto uno motivo di conviviale svago. Chi indiceva un banchetto lo
faceva principalmente per due motivi: primo, ostentare ricchezza e potere; secondo, stringere importanti accordi di varia natura, come alleanze militari
o accordi matrimoniali di figli magari ancora bambini (se non addirittura in
fasce). Da queste importantissime motivazioni ne derivava una assoluta
ricercatezza, non solo dei piatti da offrire, ma anche di tutta la preparazione. Tutto questo sfarzo si traduceva in banchetti la cui durata doveva coprire almeno un’intera giornata e superare le 20 portate diverse servite, il tutto allietato anche da spettacoli o
opere teatrali (anche appositamente scritte o realizzate).
ANEDDOTO
Celebre fu il
banchetto del 13 Gennaio 1490, passato alla storia come “FESTA DEL PARADISO”, organizzato
nientemeno che da Leonardo da Vinci in occasione del matrimonio tra Gian
Galeazzo Maria Sforza con Isabella d’Aragona. In questa occasione il grande
artista, non solo curò tutta la preparazione del banchetto, ma allestì uno
spettacolare intrattenimento "meccanico" in cui dei ragazzini impersonavano angeli,
pianeti ed esseri mitologici dentro a delle nicchie che ruotavano attorno a
Giove mentre le candele sfavillavano come stelle grazie a delle superfici dorate
e curvilinee poste loro intorno.
PREPARAZIONE
Intanto si consigliava di sovrapporre nella
preparazione della tavola almeno 3 tovaglie, questo principalmente perché nei banchetti,
durando poi tutta una giornata, i commensali potevano sporcare la tovaglia (cosa abbastanza comune ancora oggi) ma allo stesso tempo
non si poteva pretendere che persone di così alto rango continuassero a mangiare con una tovaglia sporca, per cui si provvedeva alla
sua rapida sostituzione avendone già una sottostante pronta per l’occorrenza.
Parliamo invece di quello che
stava sopra la tovaglia… Erano già presenti da tempo cucchiai e coltelli mentre è proprio in
questo periodo che compaiono per la prima volte le forchette (dette
pironi, con solo 2 punte e simili quindi ad un piccolo forchettone). Subito pronto in tavola c'erano pane e sale e quindi il tovagliolo a ricoprire le posate (da
qui il temine "coperto" che andrà ad indicare il posto a tavola preparato negli
attuali ristoranti). I bicchieri e il vasellame in genere è in vetro, proprio in
questo periodo infatti Murano vive il suo primo splendore ed esporta i sui vetri in
tutte le corti d’Europa. Mancano i piatti… questi verranno posti sulla tavola insieme
alle portate: i materiali di cui sono fatti è vario, dal legno alla terracotta
(molto comune), in vetro, fino ad arrivare anche ad argento e oro.
ANEDDOTO
Il 10 Agosto 1518, un nobile
romano molto alla moda, Agostino Chigi (vi dice nulla palazzo Chigi? ecco lo avrebbe
acquistato la sua famiglia un centinaio di anni dopo), tenne un sontuoso
banchetto nella sua villa romana appena ultimata lungo il Tevere (villa Farnesina
che attualmente ospita l'Accademia del Lincei). Le portate vennero servite su
piatti in oro e argento che, una volta utilizzati, venivano gettati dai
camerieri direttamente nel fiume, a dimostrazione ulteriore dell’opulenza del
ricco ospitante. Quello che i suoi convitati però non sapevano è che, più a
valle del corso del fiume e fuori dalla vista, il Chigi aveva fatto collocare
delle reti che raccoglievano i preziosi piatti. Va bene ostentare ma fino a un certo punto...
PORTATE
Finalmente arriviamo alla
parte più succulente: che cosa si mangiava??? Tenendo presente appunto le oltre
20 portate non vorrei esagerare né dilungarmi, mi limiterò quindi a quei piatti
più particolari, intriganti o particolarmente apprezzati all'epoca.
Presente sulla tavola all'arrivo
degli invitati l'aperitivo è quindi una tradizione che vanta ormai 500 anni… i
primi aperitivi erano però dolci! Particolarmente apprezzate erano le
pagnottelle con polvere di Cipro (uno dei primi zuccheri bianchi raffinati), ma
si serviva anche pane al latte, biscotti, marzapane, sfogliatelle alla crema,
insomma veri e propri dolcetti da inzuppare in un vino Malvasia. Presente fin
da subito sulla tavola è anche la frutta, soprattutto gli agrumi, considerati
elementi basilari per l'apertura di un pasto.
PRIMI PIATTI
Alcuni dei nostri migliori
PRIMI nascono proprio nel '500. Apprezzatissimi i maccheroni (non come li conosciamo
noi, ma una specie di gnocchi di farina e pane), come anche i tagliolini. Non
erano conditi però con il pomodoro (anche se già arrivato dall'America) e
nemmeno con aglio e cipolla (considerati cibi da poveri) bensì con burro,
cannella, zucchero (ancora), formaggio, in alcuni casi anche uvette, noci,
pistacchi e mandorle tritati. Fa però la comparsa in questi banchetti una prima
versione di LASAGNE (senza pomodoro ma con carne, cacio e mozzarella). In
questo caso i vini più apprezzati erano quelli più leggeri, i bianchi come l'Arcese
di Liguria, la Vernaccia o il Trebbiano.
Qui ci sarebbe da sbizzarrirsi
perché qualsiasi animale (pennuto, peloso o acquatico) è finito su una tavola
in quel periodo… Vediamo però i più particolari e richiesti: oltre a vitello,
maiale, capretto e cacciagione in generale (che anche noi conosciamo e
apprezziamo) i nobili del tempo stravedevano per il CORMORANO, ma anche il
cigno, la gru, la cicogna, l’airone e il pavone si difendevano egregiamente!
Tra il pesce lo storione era invece sovrano indiscusso (e qui hanno tutta la
mia personale approvazione). Veniamo alle preparazioni: quasi tutte le carni
erano fatte arrosto (tutte precedentemente bollite per ammorbidirne la carne) e
condite con zucca in agro-dolce, funghi (soprattutto porcini) e pere. Apprezzatissime
erano poi le parti della testa di ogni animale (lingua e cervello in particolare).
Anche del pesce era
graditissima la testa, tanto che quelle dei pesci più grossi diventarono un
regalo graditissimo soprattutto per le signore... Soprassediamo...
Non dobbiamo però pensare ad
animali serviti in grossi tranci (come spesso accade di vedere), i cuochi più
apprezzati e gli ospitanti con più riguardo facevano tagliare la portata (qualunque
fosse) in pezzetti e striscioline grandi anche solo un dito o addirittura triturate,
questo per ovviare a carni troppo dure (si usavano in generale animali di una
certa età e non allevati appositamente per la cucina) e allo stesso tempo aiutare i
commensali che, spesso e volentieri, avevano denti in pessime condizioni. Qua i vini
usati erano per la maggior parte rossi e decisamente corposi: Greco toscano, Mangiaguerra
campano o il Latino romanesco.
ANEDDOTO
In più di una occasione è
riportato che il modo più apprezzato per presentare in tavola la selvaggina
fosse quella di avvolgerla in una sorta di pasta-sfoglia a forma di trofeo che,
una volta in tavola, veniva scoperchiato facendo saltare fuori animali vivi.
Immaginatevi quindi, fagiani, lepri, ma anche caprioli, correre da una
parte all'altra della sala suscitando ilarità e applausi. Contate poi che gli animali cotti venivano serviti in tavola ricoperti della loro stessa
pelle scuoiata creando l’idea appunto d’essere ancora vivi. De gustibus…
Ebbene sì, ancora dolce! Ma
appunto come accennato nel trafiletto sopra, erano delle vere e proprie opere d'arte
riprodotte sciogliendo e risolidificando lo zucchero nelle forme più disparate. Di questo periodo è pure la ricetta del Panettone (sorvolo sull'aneddoto circa la sua nascita perché immancabilmente a Natale popola siti internet e blog vari). Alla corte di Cosimo de’ Medici
fa la sua comparsa nel 1565, ad opera di Bernardo Buontalenti, un dolce
composto da latte, zabaione, vino e vari tipi di frutta il composto viene poi
raffreddato fino a raggiungere una consistenza cremosa: diamo il benvenuto al GELATO! Il
nuovo dolce fu talmente apprezzato che il suo inventore dovette riprodurlo alla corte di Francia e da lì si diffuse poi ovunque tanto che il gelato italiano è da allora considerato senza pari. Lo
stesso Leonardo da Vinci ideò poi una bevanda apposita per il dolce (famosissima nel Rinascimento la sua ricetta è stata riscoperta di recente): l'Acquarosa, semplice acqua
aromatizzata con rosa, ZUCCHERO (...), limone e poi filtrata.
ANEDDOTO
I Veneziani erano maestri
anche nell'uso dello zucchero nei dolci. Il 30 Maggio 1493, in occasione della
visita di Beatrice d’Este (moglie di Ludovico il Moro di lì a poco Duca di
Milano), le preparano una sontuosa "colazione" realizzando con lo zucchero una
vista di Venezia dall'alto e figure verosimiglianti del Papa, del Doge, di
Ludovico il Moro (completamente armato) fino allo stesso San Marco (patrono
della città).
Mi rendo conto che ogni punto
di questa breve trattazione forse meriterebbe un approfondimento a sè, spero comunque di
aver raggiunto il mio "solito" intento: avervi incuriosito e magari un pizzico
divertito. Non manco però di ricordarvi che, anche oggi, dietro ogni piatto che
mangiamo ci può essere una storia interessante e sorprendente, sta a voi cercarla adesso. Vi devo poi
rivelare che, a furia di scriverne, mi è venuta una gran fame…
BUON
APPETITO!!!
______________________________________
FONTI
-
Francesco Malaguzzi Valeri, La corte di Lodovico
il Moro - la vita privata e l'arte a Milano nella seconda metà del
Quattrocento, vol. 1, Milano, Hoepli, 1913.
-
Cristoforo di Messisbugo, Banchetti, Compositori
di vivande et apparechio generale, (Ferrara, 1549), edizione F. Bandini,
Vicenza, 1992.
-
June Di Schino, Rosa Barovier Mentasti, Marina
Cogotti, Anna Alberati, Carmen Ravanelli Guidotti, Lorenzo Lorenzini, Angela
Adriana Cavarra e Roberto Valeriani, Magnificenze a tavola - Le arti del
banchetto rinascimentale, Roma, De Luca Editori d'Arte, 2012, ISBN
9788865570838.
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