Ad essere onesto non sapevo esattamente in che "categoria" inserire la pubblicazione di oggi. Ero molto indeciso tra FATTI e PERSONAGGI, perché il mio obiettivo era principalmente cercare di farvi immaginare come un soldato, od appunto un armigero, passasse una sua giornata nel 1500 (periodo cui sono particolarmente legato).
Ho scelto alla fine di inserirlo nella zona FATTI per il semplice motivo che non c'è un personaggio preciso a cui fare riferimento e tutto quanto racconterò, sebbene abbia qualche indicazione su persone o luoghi precisi, avrebbe auspicabilmente potuto svolgersi ovunque e con chiunque al posto dei personaggi che cito...
Buona lettura...
Mattina. E' molto presto, il
sole non ha ancora fatto vedere il suo volto, ma già schiarisce il cielo
plumbeo. Nell'alzarsi a Valente sembra di dover sollevare un macigno, invece
della sua testa. Il sonno è stato ristoratore, da tempo non provava
l'esperienza di un letto. […]
Decide di sfruttare il suo
bagaglio, gentilmente riportatogli: unendo una calzamaglia bianca ad un
farsetto verde, che porta ricamato sul giustacuore un drago rampante, Valente
si veste; stivali, insieme all'inseparabile mantello nero, che sarà utile vista
la giornata fredda che si prospetta, completano l'opera.
Uscendo dalla sua stanza nota
che il castello è già vivo: i domestici sono al lavoro nelle stanze del
marchese e a lui non resta che scendere. Dopo qualche gradino viene attirato da
un clangore familiare e dalle urla di incitamento degli armigeri. Stavolta non
può sbagliarsi e prosegue la discesa verso le segrete, dove, evidentemente, si
stanno allenando gli uomini del castello. […]
Entrando nella prima sala
sotterranea, Valente si trova di fronte esattamente ciò che si aspettava.
Due degli armigeri, Ferdinando
e Ruggero, stanno affrontandosi con le spade nel quadrato d'addestramento,
mentre gli altri si lasciano andare a invettive nei confronti dell'uno o
dell'altro. Lo scopo dell'esercizio è cercare di spingersi, a suon di fendenti,
al di fuori di un rettangolo di circa tre passi di lunghezza per due di
larghezza, contrassegnato sul pavimento da particolari piastrelle. In teoria
questo dovrebbe sviluppare riflessi e muscolatura, ma soprattutto insegnare a
lottare in uno spazio ridotto, come potrebbe essere quello in battaglia,
riducendo al minimo i movimenti, per evitare sia il dispendio di energie che di intralciare un altro
combattente che potrebbe trovarvisi a fianco.
Osservando la scena Valente
approfitta per fare colazione. Infatti, su un tavolino vicino a dove si trova,
sono posate pagnottelle e focacce per dare ristoro agli uomini. Intanto tra i
due contendenti è chiara la migliore preparazione di Ferdinando, ma la grinta
di Ruggero sta compensando la differenza tecnica; l'esito dipenderà solo da
quanto potrà resistere il più giovane allo sforzo. […]
I due continuano a scambiarsi
fendenti che cominciano a coinvolgere, oltre che le spade, anche la cotta di
maglia che copre loro il busto. Purtroppo per Ruggero, quelli che arrivano a
toccare Ferdinando hanno già perso molta della loro forza; così, in capo a
poche stoccate il ragazzo, stremato, finisce per uscire dal quadrato, spinto
dall'ennesimo affondo ben portato dal suo avversario. […]
Omedeo ha già preso posto e
aspetta il suo avversario con l'impazienza di una belva affamata. Valente,
rifiutata la cotta, sta soppesando la picca e si muove con estrema
tranquillità. Qualche passo intorno al rettangolo, per verificarne
le esatte dimensioni, e orecchie aperte per carpire, dai commenti
degli altri, cosa aspettarsi.
[…] Senza dare peso agli insulti lanciati nella sua direzione, per quello che a
tutti sembra solo un tentativo di ritardare l'inevitabile, Valente mette piede
nel quadrato.
I due si studiano per qualche
secondo e ad Omedeo sfugge un sorriso, vedendo il suo avversario senza
protezioni. Così parte alla carica.
Brandendo la picca con entrambe le mani, cerca subito il contatto corpo a corpo
per sfruttare tutta la sua forza nella breve distanza. Valente, dal canto suo,
non si scompone. Para agevolmente il primo e il secondo colpo, ma nota che
questi sono portati con poca convinzione, con il solo scopo di farlo
indietreggiare. Il piano del bestione è tanto semplice quanto potrebbe essere
efficace: portarlo all'angolo per impedirgli al massimo i movimenti e, bloccatolo,
soverchiarlo con la maggiore prestanza fisica. Mossa senza dubbio da
apprezzare, ma l'esito non sarà quello sperato: infatti, a poca distanza dal
bordo, Valente intreccia le picche e, sfruttando la spinta dell'avversario,
unita ad un'agile torsione di busto e gambe, aiutata dall'assenza della cotta
di maglia, fa alzare letteralmente da terra uno sbilanciato e incredulo Omedeo
che finisce, con un tuffo fragoroso, su una pila di scudi in un angolo della
sala, fuori dal rettangolo. Lo sbigottimento generale porta con sé il silenzio.
[…]
- Mi piacerebbe misurarmi con te. Da veterano a
veterano. – dice Gualtiero a Valente – Inoltre, mi hai tolto il compagno di
allenamento.
- Però con te – risponde questo – credo che avrò
bisogno della cotta di maglia e, se ti va bene, passerei alla spada.
- Nessun problema.
Il volto del Pallavicino è divertito ed entusiasta, come quello di un bambino, mentre i due, preparatisi,
si stanno già fronteggiando nel rettangolo. […] Ripresa la guardia, i due
cominciano a girarsi intorno. Valente capisce subito che l'avversario è di
tutto rispetto. Il suo corpo risponde prontamente e l'adrenalina gli dà una
sensazione quasi di piacere. Facendogli capire che il suo spirito guerriero,
suo malgrado, non è assopito. I primi colpi sono delle schermaglie, entrambi sanno di
non avere l'impellenza di una battaglia intorno e si prendono tutto il tempo
che serve. La tecnica di Gualtiero è nervosa e muscolare, ma molto efficace
negli affondo. Valente legge negli occhi del suo avversario che la sua, invece,
lo innervosisce per la troppa raffinatezza. Avrà modo di ricredersi, pensa. Ma
deve velocemente affrettarsi a parare due rapide stoccate portate
dall'armigero.
Il ritmo si alza e a condurre
il gioco è senza dubbio Gualtiero, che non accenna a lasciargli spazio,
bloccando sul nascere ogni sua iniziativa per controbilanciare il duello. Gli
assalti del suo avversario sono abilmente portati a tutte le parti del corpo,
anche alle gambe: il che lo obbliga a limitare le finte e badare al sodo.
Capisce anche che non potrà prenderlo di sorpresa, come di consueto, ma anzi
sarà meglio non protrarre troppo lo scambio, per non rischiare di essere preso
in controtempo. Il volto del suo avversario è una maschera che non lascia
intendere le prossime intenzioni, ma cosi deve apparirgli anche il suo: quindi
su questo piano devono trovarsi alla pari. Mentre le spade continuano a
centrarsi, Valente pensa: “Visto il rispetto che gli portano gli altri
armigeri, non deve essere particolarmente abituato a cimentarsi con degli affondo
troppo diretti, ma saprà certamente come difendersi”. Decide quindi di provare
una mossa azzardata. In un attimo, tra un colpo e l'altro porta tutto il peso
del corpo sulla gamba destra, più avanzata e si slancia in avanti puntando con
la spada dritto al petto di Gualtiero. A questo basta un passo verso destra per
schivare, ma, quando sta per portare il colpo decisivo all'avversario, si
accorge che non è affatto sbilanciato, anzi, raccoltosi completamente è
scattato dal suo stesso lato, Valente ha messo fuori causa la sua risposta,
parandoglisi di fronte, ad un palmo di distanza, con la spada puntata dritta
alla sua gola.
- È stato un gesto atletico notevole lo ammetto. - dice Gualtiero allontanandosi e aprendo la guardia in segno di resa. […]
Il Pallavicino, insieme a
Valente e Gualtiero lasciano che gli altri armigeri proseguano l'addestramento,
mentre loro escono nel cortile del castello. Qui un nuovo rumore, simile a
quello di una campana, attira l'attenzione del gruppetto. In un angolo del
cortile, vicino ad una porta che dà accesso all'ala nord del castello, Ulrich,
a torso nudo nonostante il freddo, è intento a martellare pesantemente su
un'incudine che a tratti sembra quasi cedere sotto i colpi del teutone. Dentro
la stanza vicino a cui si trova il fabbro, Valente nota una fucina e un enorme
mantice che evidentemente l'armigero manovra da solo.
- Dio solo sa come fai a non prenderti un
accidente. – cerca di attirare la sua attenzione il marchese alzando la voce.
- Mio signore – risponde questo alzando gli occhi
senza perdere il ritmo delle martellate – è un lavoro che scalda. Poi, per me
questa e primavera.
- Ho provato anch'io i tuoi climi, ma ti
garantisco che tu hai nel petto dei tizzoni se non ti congeli.
- No, mio signore, solo idromele. – risponde
questo nel suo peculiare accento.
- Di poche parole, ma lo spirito non gli manca. –
osserva Valente; poi, rivolto all'instancabile martellatore - Con che metalli
stai lavorando?
- Batto insieme strati di ferro e ghisa roventi. È
difficile e dispendioso, ma il risultato e ottimo, le lame sono più resistenti
e leggere. - Spiega in breve Ulrich.
- Ma il problema è che non riesci a eseguire una
spada uguale all'altra giusto? Alcune sono più resistenti ma di difficile
affilatura, mentre altre che si affilano meglio non sono abbastanza resistenti.
- Ti intendi anche di metalli? – si fa sentire
Gualtiero, con un cenno di sarcasmo che, a quanto pare, non lo abbandona mai.
- No, ma ho letto molti trattati sull'argomento.
La risposta lascia sbigottiti
i due armigeri, ma non il Pallavicino che domanda:
- Pensi che si possano migliorare le nostre lame?
-
Forse, ma dovremo lavorare almeno in tre o
quattro per la prima lama.
Ottenuto l'assenso del
marchese, tutti e quattro si mettono all'opera seguendo le direttive di
Valente.
- Per prima cosa mi servono dei crogioli… Delle
anfore di argilla. Forse c'è qualcosa in cucina. Poi credo che saranno molto
utili il ferro e il carbone che avete qui, ma avrò bisogno anche di vetro…
Potete procurarmelo?
- Certo - risponde il Pallavicino. Ordinando a
Gualtiero di andare a prendere brocche e bicchieri.
Valente intanto, con l'aiuto
di Ulrich prepara pezzi più piccoli di ferro. Appena tornato Gualtiero con
tutto il necessario, la strana procedura comincia. Gli orci di argilla vengono
riempiti con ferro, carbone e pezzi di vetro, per essere poi messi all'interno
del forno della fucina. A questo punto Gualtiero e Ulrich azionano il mantice
per alimentare il fuoco, facendo diventare molto più caldo il forno. Lentamente
il ferro fonde insieme al carbone e di lì a poco, sulla superficie dei
crogioli, cominciano ad addensarsi dei grumi.
- Vedete – spiega Valente – quelle impurità, sono
vetro e carbone che si addensano. - e aggiunge rivolto ad Ulrich - Quando tu batti con il maglio su ghisa e
ferro non fai altro che far passare nel ferro il carbone della ghisa, ma non
riesci a controllare esattamente quanto. Cosi ti ritrovi con delle lame tutte
diverse.
- Va bene, ma allora anche facendo in questo modo
non ottieni niente, perché ferro e carbone, come hai detto, rimangono separati.
– Chiede Ulrich.
Valente lo guarda con il suo
mezzo sorriso compiaciuto, notando la preparazione del fabbro e prosegue:
- Non esattamente. Perché il vetro trattiene solo
le impurità, mentre il carbone che ci interessa sta entrando nel ferro nella
quantità che ci serve.
Qualche ora dopo, tolte le
impurità in superficie e fatto solidificare nello stampo il metallo fuso,
Ulrich può finalmente lavorarlo con minore fatica. Il risultato, dopo
l'affilatura e montate elsa, impugnatura e pomolo, è una lama leggerissima. Poi
nelle mani esperte di Valente, che la fa roteare con grande eleganza, il peso sembra
perderlo del tutto. Il filo, risulta molto ben molato, questo senza dubbio
grazie alla forza e alla perizia di Ulrich nella prima affilatura. Il
Pallavicino, più che soddisfatto si avvicina a Valente
che gli porge la spada. […]
- Dove e come hai imparato a fabbricare un metallo
del genere? – domanda il marchese
- Ho semplicemente letto alcune cronache sui
cavalieri templari e le loro spade. – risponde Valente alzando gli occhi
dall'arma che sembra pulsargli fra le mani - Anche un’antica cronaca sulla vita
di Alessandro Magno. Sembra che questo tipo di acciaio gli fosse stato donato
dal Raja Puru, un alto funzionario delle Indie, che lo considerava più prezioso
di oro o argento.
- Parli dell'acciaio di Damasco? Se mi avessi
detto, prima di farmelo vedere, cosa volevi produrre non ti avrei creduto.
Invece ora riesco solo a dire che è stata una mattinata di lavoro molto ben
spesa. – commenta il Pallavicino soddisfatto ma ancora stupito.
[…]
-
Ora pranziamo, - riprende il marchese - ho dei
salumi che non vedono l'ora di essere mangiati.
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Mi fermo volutamente (e con rammarico) a questo punto proprio per lasciarvi con l'acquolina in bocca... Infatti in una delle mie prossime digressioni mi riprometto prossimamente di parlare di CUCINA (sempre cinquecentesca ovviamente).
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