In settimana si è fatta largo
nella mia testa il desiderio di raccontarvi un’altra leggenda dalle mille
sfaccettature e così diffusa, addirittura in tutta Europa, da essere quasi
irriconoscibile la sua genesi originaria: cercherò comunque, qua e là, di
trovare o spiegare da dove e come sia “nata” questa leggenda soffermandomi
soprattutto sulla la versione tramandata lungo l'Adda.
Questa è la leggenda della
DAMA BIANCA…
Solita premessa: come
accennavo lo spirito della Dama Bianca è diffusissimo in tutta Europa, soprattutto
nella zona tra in nord Italia e il sud della Germania, ed in genere ha come
protagonista una donna realmente esistita e morta in maniera orribile che, con
il suo ritorno nel mondo dei vivi, cerca redenzione o, più spesso, vendetta.
Già così, se avete letto qualche altro articolo di questo blog (ci spero
sempre) questa piccola precisazione potrebbe ricordarvi il personaggio di Eleonora Viritella e del suo fantasma che si aggirava per le stanze del castello di Castiglione, ma non è questo il caso, nonostante i luoghi di apparizione
(lodigiana) sono molti e tutti legati in qualche modo al corso dell'Adda.
Come in tutte le leggende di cui vi ho parlato finora,
l’acqua è una componente fondamentale e questa non fa differenza: siamo infatti
nel territorio di quello che fu il lago Gerundo, ma in un periodo
successivo alla sua bonifica. Il lago così come l’abbiamo conosciuto non
esisteva più, ma perduravano numerosi laghetti alimentati da un numero
indefinito di fontanili comuni nella zona del basso corso dell’Adda, da Lodi
(ancora oggi conosciuti sono quelli del parco del Pulignano) fino alla zona
vicino a Pizzighettone e Cavacurta.
Stavolta però vi è un’altra componente fondamentale: la
nebbia. Senza la nebbia infatti la nostra dama non si manifesta, anche se non è
ben chiaro se sia Lei ad aspettare la nebbia o invece sia questa ad essere
portata dalla Dama.
Qui abbiamo un problema… in
tutte le versioni della leggenda la Dama Bianca, prima di divenire tale, è in
genere una persona conosciuta (in alcune tradizioni si sa perfino il suo nome,
poi ne parliamo), ma nella versione “lodigiana”, la Dama era, almeno
all'apparenza una ragazza comune. Ma tutte le versioni sono concordi nella sua
descrizione: lunghi capelli biondi che si confondono con le chiome dei salici,
un abito bianco lungo fino a terra sotto cui si intravedono soltanto i piccoli
piedi che lasciano tracce nel terreno mentre veloce si sposta tra platani e
pioppi; non ha un volto, il viso pallido infatti appare privo di lineamenti a
coloro che hanno cercato di vederla più di vicino e sono poi scappati
spaventati.
ORIENTAMENTO
Nel fantasy è il classico
personaggio che viene definito come “CAOTICO – BUONO”, in sostanza un essere in
fondo buono che però incute timore anche in coloro che non dovrebbero aver
nulla da temere. In tutte le versioni è un’anima in pena, si percepisce di
fondo in alcune una latente ricerca di vendetta, ma di solito non è Lei a perpetrarla
quanto piuttosto coloro che, venuti a conoscenza della sua storia, cercano di
placarla con doni oppure cercando di farle giustizia.
CIAK
Ecco quindi la versione
lodigiana della leggenda e una sua piccola alternativa nate lungo il corso dell’Adda e
che differiscono nella sostanza solo nell'identità della Dama Bianca…
GIOVINETTA SEMI-SCONOSCIUTA
Nei boschi lungo l'Adda, tra ontani e pioppi neri, si ode un lamento: una triste nenia accompagna la nebbia che tutto fa tacere all'infuori di quella triste melodia.
Alcuni contadini che si attardano fino a sera nel lavoro dei campi, oppure i cacciatori che escono alle prime luci in cerca di selvaggina, raccontano, ancora impauriti, cosa hanno visto.
Un'ombra bianca, inconsistente come la nebbia stessa che l'accompagna, si spostava tra i tronchi degli alberi appena visibile nella bruma. Forse un raggio di luce era filtrato proprio mentre passava vicino ad un salice mostrandone la lunga chioma bionda confondersi tra le fronde dell'antica pianta.
I più coraggiosi provarono ad avvicinarla, per essere sicuri che fosse davvero lei… Dal timore al terrore il passo è breve. Non un lineamento a rendere meno spaventosa la visione: solo un pallido ovale che, non si sa come, li scrutava più intensamente di qualunque sguardo abbiano mai incrociato, rivoltando la loro anima così come le loro membra. Può essere solo fuga.
Le donne del paese non si stupiscono del racconto. Hanno già sentito tante volte dalle loro madri la storia di quella ragazza e non hanno bisogno, come gli uomini, di prove: sanno chi è. Non ne conoscono il nome certo, ma solo la sua triste storia. Era una ragazza, forse una contadina come loro, ed era innamorata: un amore corrisposto, apparentemente senza ostacoli. Sola al mondo lei, solo al mondo lui. Due giovani semplici senza legami, se non quello che avevano scoperto tra loro.
Poi arrivò la guerra, non ha importanza quale perché in quelle terre prima o poi arrivava sempre una guerra e lui dovette partire al servizio del suo signore. Lei fu di nuovo sola. Ma niente era come prima, perché la solitudine non è pesante se non si è mai conosciuto l’Amore.
Non si sa che fine abbia fatto Lui. Lei si aggira ancora per i boschi, vicino al laghetto dove erano soliti incontrarsi, in attesa del suo ritorno.
Da quanto tempo attende mi chiederete? Nessuno lo sa, questa storia ce la raccontavano le nostre nonne e a loro l’avevano raccontata le loro madri nello stesso modo in cui era sta narrata loro.
ENTITÀ SOVRANNATURALE
Incipit della leggenda e anche
la descrizione fisica sono identiche, quelle che cambiano sono le motivazioni. La
Dama Bianca in questa "identità" è appunto la protettrice delle acque dei
fontanili, il suo lamento si riferisce all'opera dell'uomo che maltratta l'acqua
e la natura. Lei quindi vaga tra i fontanili vicino all'Adda con lo scopo di
proteggere quei piccoli ritagli di pianura incontaminata, usando la paura per
tenere lontani tutti coloro che vorrebbero abusare delle acque che hanno la
fortuna di avere a disposizione.
VERSIONI CON PROTAGONISTE
REALI
Più che una leggenda fino a questo punto sembra quasi di avere a che fare con una favola gotica, eppure le versioni con una protagonista realmente esistita
sono forse più macabre...
Tenete quindi sempre per buona la
descrizione fisica della Dama Bianca almeno nella sua forma non-mortale.
Ora vi riporterò alcune delle leggende sulla Dama Bianca in cui mi sono imbattuto, sono però tantissime e ho quindi dovuto fare una cernita citando solo quelle con più fonti al loro sostegno e che si attenessero maggiormente al mito principale…
Ora vi riporterò alcune delle leggende sulla Dama Bianca in cui mi sono imbattuto, sono però tantissime e ho quindi dovuto fare una cernita citando solo quelle con più fonti al loro sostegno e che si attenessero maggiormente al mito principale…
Vedova di Ottone III, la
“cara” Agnese uccise tutti i suoi figli al solo scopo di sposare Alberto di
Norimberga di cui era innamorata e che non voleva avere a che fare con la
prole del suo primo marito in termini anche di possibile futura lotta per la
propria eredità. Il gesto però la porterà vicino alla pazzia e si salverà solo
espiando le sue colpe come reclusa nel monastero di Himmlkron (da lei stessa fondato)
dove morirà nel 1343.
Alla sua morte il suo spirito, in forma di Dama Bianca, perseguiterà invece la sua casata, gli Hohenzollern,
mostrandosi nelle loro varie dimore come presagio di sventura.
Nel 1486 si mostrò nel
castello di Bayreuth, di proprietà della sua famiglia appena prima che il loro
principato cadesse in disgrazia e venisse diviso.
Mente nel 1598 la sua
apparizione predisse la morte del Principe Giovanni Giorgio di Brandeburgo,
tutore del Duca di Prussia.
Ultima apparizione documentata
nel 1861, quando predisse la morte di un altro principe, Federico Guglielmo IV
di Prussia, dopo una lunga paralisi e senza aver avuto eredi.
Il suo stesso nome è
interessante ai fini della leggenda, ma ci arriveremo dopo…
La sua leggenda è citata nel tomo
“Prodigi” redatto da Erasmo Francesco: nobildonna dedita alla carità fu
costretta a sposare Jan di Lichtenstein nel 1449 che la maltrattò, sia
fisicamente che mentalmente, fino alla sua morte nel 1476. Apparirà quindi con
le vesti della Dama Bianca nei suoi possedimenti in Boemia (i castelli di Český
Krumlov e Červená Lhota) anche lei predicendo sventure.
Documentata la sua apparizione
durante la conquista da parte degli svedesi. In quell'occasione passò per tutte
le camere dei due castelli facendo tintinnare il mazzo di chiavi che portava
alla cintura e aprendo tutte le porte a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Lasciava in pace solo coloro che salutavano con un inchino
il suo passaggio, avrebbe preso invece a sassate chi non le avesse portato
rispetto.
Fu costretta ad unirsi in
matrimonio con il conte Lorentz von Ujlak, molto più vecchio di lei, nel 1485.
Pare che il marito, tre anni circa dopo il matrimonio, l’avesse scoperta con il
suo amante, un ragazzo italiano suo amico d'infanzia. Il conte, dopo
averlo pugnalato davanti alla moglie, si sarebbe sbarazzato del corpo gettandolo
nel pozzo del castello di Bernstein in Austria dove vivevano. La giovane, in
preda allo sconforto, scappò e di lei non si seppe più nulla fino al 1859, quando si ripresentò al Castello come Dama Bianca salendo le scale che
portavano alla sua camera da letto e preannunciando da allora le sventure che
sarebbero di volta in volta incorse ad una giovane donna della casata.
La più “giovane” delle Dame
Bianche (in termini di età al momento della morte), aveva solo 13 anni quando, malinconica
e cagionevole di salute, viene fatta trasferire del padre Gaspare Martinengo
(un condottiero veneziano) da Brescia al castello di Padernello di proprietà
della sua famiglia. È l'autunno del 1479 e per la ragazza sembra l'inizio di
una nuova vita, lontano dalla guerra e dalle armi che l’avevano sempre
spaventata e con cui era costretta a convivere a causa delle occupazioni del
padre. Qui in campagna per lei è tutto diverso: appassionata di natura, passa
le giornate a scrivere appunti su un libro dalla rilegatura dorata.
Nemmeno un anno dopo, la sera
il 20 luglio 1480, Biancamaria si attarda ad osservare il tramonto seduta sui
merli del maniero; di lì a poco vedrà comparire davanti a lei dei punti
luminosi, crederà di potersi librare in aria e potersi unire a quelle magiche
luci, immolando la sua vita per quelle piccole lucciole.
Da allora, ogni 10 anni, la
sera del 20 di luglio la ragazzina tornerà nel suo
castello come Dama Bianca, con in mano il suo libro dorato in cerca di qualcuno che voglia
ascoltare il suo segreto.
Era una ragazza nobile, ma la
sua famiglia aveva dilapidato le sue fortune. La giovane aveva però
approfittato della morte della prima moglie di Enrico IV conte di Gorizia per
sposarlo e mettere le mani sulla fortuna del casato. Alla morte del
marito nel 1454 ebbe a sua disposizione gran parte della fortuna di famiglia
che teneva ben nascosta nei sotterranei del castello con quattro grossi alani
come guardia. I cani venivano lasciati liberi di circolare nel castello e pare
ubbidissero solo a lei e al suo servitore più fedele, tale Giuseppe, che aveva
il compito di nutrirli sì, ma non abbastanza da saziare la loro fame.
Una notte un messo con una
borsa piena d’oro si presentò al castello per chiedere ospitalità. Incurante
della cupidigia che la scoperta dell'oro aveva acceso nella contessa, l'uomo si
ristorò ed andò a dormire tranquillo. La contessa allora, con la complicità del
servitore, liberò i cani nella camera del messo: per lui non ci fu scampo. Il
giorno seguente però il servitore reclamò la sua parte d'oro ed in seguito allo sdegnoso
rifiuto della donna, troppo avida anche solo per pensare di dividere una
piccola parte del suo tesoro, la colpì con sette pugnalate. Quello che però il
servitore non si aspettava fu che una volta arrivato nelle segrete per
prendersi tutto il tesoro di esso non vi fosse più alcuna traccia. Tornato dalla
contessa, nella speranza che non fosse ancora morta e potesse rivelargli dove
fosse nascosto il tesoro, trovò i cani che guaivano sconsolati intorno al corpo
della donna ormai privo di vita. Appena videro Giuseppe, quasi avessero capito
in quel momento il colpevole dell’uccisione della loro padrona, gli furono
subito addosso dilaniandolo.
Da quel giorno, ogni sette
anni, la Contessa riappare con l'abito bianco e i lunghi capelli sciolti sulle
mura del castello di Gorizia, protetta dai fantasmi dei suoi quattro alani che ancora
lanciano i loro tristi guaiti. Vuole la leggenda che chi avrà il coraggio di
avvicinare la Dama Bianca e chiederle dove sia il suo tesoro non solo lo
otterrà in premio, ma nel contempo restituirà la pace allo spettro della donna.
UN FONDO DI VERITÀ
Sorvoliamo velocemente sulle versioni
che hanno una protagonista reale in quanto la “verità” insita in queste leggende
sta appunto nell'identità conosciuta della protagonista.
È invece più curioso andare a
scavare nella possibile identità delle versioni legate appunto all'acqua e all'Adda.
Indipendentemente dal fatto che la nostra Dama Bianca sia una giovane
semi-sconosciuta oppure una creatura totalmente immaginaria, la domanda sulle
sue origini effettive rimane. Mi tufferei quindi, come al solito, nelle
possibili unioni tra mitologie diverse che, come abbiamo già visto, si sono
alternate nella nostra zona e che potrebbero aver influenzato i racconti
successivi passando dalla mitologia alla tradizione orale.
Qui le cose si fanno, a mio personalissimo
avviso, molto interessanti…
Chi poteva quindi essere la nostra Dama Bianca?
È una divinità celtica della
tradizione alpina, protettrice degli animali, della natura e della sessualità,
conosciuta anche con Berchta o Bertha (questo piccolo link esterno non c'entra molto con la narrazione della Dama Bianca ma è interessante per far capire come spesso nemmeno ci rendiamo conto di come il mito sia sempre presente nella nostra vita e anche di come essere comici non significhi non avere cultura).
Questa dea è anche detta la “Splendente”
ed è raffigurata con un abito bianco e tanto luminoso da rendere perfino
difficile il riconoscere i suoi lineamenti. In virtù di questa sua facoltà di
essere difficilmente riconoscibile, Perchta era solita assumere due forme
principali: quella di bella e pura come la neve (con chi ne fosse degno),
oppure di una vecchia anziana e vendicativa (con coloro che meritavano di
essere puniti).
Interessante in questa “identità”
è anche il fatto che una delle primissime Dame Bianche raccontate ed identificate
con una persona reale fu appunto PERCHTA VON ROSENBERG che portava lo stesso
nome di questa antica divinità.
Dea etrusca del destino. Anche
se è generalmente rappresentata come una bellissima donna alata, in alcune
occasioni sarebbe apparsa agli uomini come sbuffi di vapore sulfureo per portare
messaggi di morte e sventura, era infatti anche una divinità degli inferi (estramamente importanti per gli etruschi). È forse l’identità più “tirata per i capelli”,
non fosse che nella zona di Cavenago d'Adda si trovino fin dall'antichità dei giacimenti
di gas naturale (sfruttati in tempi recenti anche dall'ENI come abbiamo visto
con la leggenda di Tarantasio) e che avrebbero potuto anche essere interpretati
come messaggi di morte, essendo comunque molto pericolosi e tossici se inalati, potendo portare anche a delle allucinazioni…
NINFE (mitologia greco-romana)
Le ninfe erano delle divinità
legate alla natura, descritte come bellissime ragazze che non di rado si innamoravano
di giovani mortali decidendo a volte di diventare esse stesse delle mortali o,
viceversa, di rendere immortale il loro amato. L’Adda sembra avesse addirittura
tre ninfe legate al suo corso o alle zone limitrofe...
AIGEIROS: una DRIADE (ninfa
silvestre) abitava e proteggeva una pianta in particolare, pioppo nero, comunissimo
lungo le sponde dei fiumi. Questa versione si legherebbe al “mimetizzarsi” della
Dama Bianca con gli alberi anche se la nostra leggenda parlerebbe espressamente
di salici.
EGLE: una ELIADE (ninfa
celeste) sorella di Fetone, nel mito Fetonte ruba il carro del sole di Apollo e,
non essendo in grado di condurlo, ne perde il controllo proprio all'apice della
sua salita verso il cielo e muore schiantandosi al suolo nei pressi del fiume
Eridano (antico nome del Po); la sorella disperata resterà a piangerlo per sempre
nel punto dove il carro si era abbattuto sulla terra. Questa versione si
accorda con i lamenti della Dama Bianca dando un'altra spiegazione al suo
pianto, comunque sempre in relazione ad una persona molto amata; il corso del
Po è però molto lungo e nel mito non viene fatta menzione del luogo esatto dove
perì Fetonte.
IDIA: una NAIADE (ninfa
delle acque), la più giovane tra tutte le Naiadi e come tutte le sorelle era
protettrice di un fiume, l’assonanza con “Adda” l’avrebbe quindi fatta
protettrice del nostro fiume e delle acque ad esso vicine. Questa è
probabilmente la mia “risposta” preferita… Questa identità si legherebbe a
meraviglia con entrambe le versioni “lodigiane” in quanto potrebbe essere sia una
ninfa protettrice del fiume che una giovane “quasi” sconosciuta innamoratasi
perdutamente di un giovane mortale.
CITAZIONI
Non poteva mancare la parte
relativa alle citazioni letterarie…
Sebbene sia molto facile
trovare rimandi a ninfe e creature della natura ho voluto restringere il campo
a qualcosa che fosse il più possibile pertinente al mito della Dama Bianca.
A queste citazioni, come al solito, lascio il finale di questa paginetta…
A queste citazioni, come al solito, lascio il finale di questa paginetta…
La Belle Dame Sans Merci
Perché soffri, o cavaliere in
armi,
E pallido indugi e solo?
Sono avvizziti, qui i giunchi
in riva al lago,
E nessun uccello cantando
prende il volo.
Perché soffri, o cavaliere in
armi,
E disfatto sembri e desolato?
Colmo è il granaio dello
scoiattolo,
E il raccolto è già
ammucchiato.
Scorgo un giglio sulla tua
fronte,
Imperlata d'angoscia e dalla
febbre inumidita;
E sulla tua guancia c'è come
una rosa morente,
Anch'essa troppo in fretta
sfiorita.
Per i prati vagando una donna
Ho incontrato, bella oltre
ogni linguaggio,
Figlia d'una fata: i capelli
aveva lunghi,
Il passo leggero, l'occhio
selvaggio.
Una ghirlanda le preparai per
la fronte,
Poi dei braccialetti, e
profumato un cinto:
Lei mi guardò come se mi
amasse,
E dolce emise un gemito
indistinto.
Sul mio destriero al passo la
posi,
E altro non vidi per quella
giornata,
Ché lei dondolandosi cantava
Una dolce canzone incantata.
Mi trovò radici di dolce
piacere,
E miele selvatico, e stille di
manna;
Sicuramente nella sua lingua
strana
Mi diceva, "Sii certo, il
mio amore non t'inganna".
E mi portò alla sua grotta
fatata,
Ove pianse tristemente
sospirando;
Poi i selvaggi suoi occhi
selvaggi le chiusi,
Entrambi doppiamente baciando.
Poi fu lei che cullandomi
M'addormentò - e, me
sciagurato,
Sognai l'ultimo sogno
Sul fianco del colle
ghiacciato.
Cerei re vidi, e principi e
guerrieri,
Tutti eran pallidi di morte:
"La belle dame sans
merci", mi dicevano,
"Ha ormai in pugno la tua
sorte".
Vidi le loro labbra consunte
nella sera
Aprirsi orribili in un grido
disperato,
E freddo mi svegliai,
ritrovandomi lì,
Sul fianco del colle
ghiacciato.
Ed ecco dunque perché qui
dimoro,
E pallido indugio e solo,
Anche se sono avvizziti i
giunchi in riva al lago,
E nessun uccello canta,
prendendo il volo.
Poesia di John Keats
Era l'anniversario del suo ritrovamento; come ogni anno si era recato nel bosco fino ad un punto particolare, lo chiamava “il sasso”: non era che una roccia levigata posta sotto le fronde di un salice e vicino ad uno stagno, creato dalle acque risorgive del vicino fiume. Era un luogo molto appartato, sapeva che era conosciuto da altri, ma gli piaceva definirlo suo; l'unico posto in cui lasciava la corazza di fermezza per ritrovare la pace con il suo io più profondo, tutt'altro che bellicoso. Come spesso accade, fu proprio in quel momento di vulnerabilità che venne colpito al cuore da quello sguardo tanto cercato e mai, in fondo, sperato di trovare. Una creatura silvestre sbucata dal nulla; una ragazza, coi capelli che avevano rubato il colore ai riflessi dorati del sole tra le fronde degli alberi e due occhi così profondi da poterci scorgere l'infinito: era lì, ferma davanti a lui, ad osservarlo. Non furono solo questi particolari a farlo capitolare, ma anche la sua voce: le sue risate e alcune sue espressioni che fecero capolino durante quel primo dialogo. Non ricordava praticamente niente di quello che si erano detti in quel primo incontro; la sua memoria era totalmente impegnata a cogliere e trattenere ogni minimo particolare di lei, solo il suo nome gli era rimasto marchiato a fuoco nel cuore e nella testa: Berenice.
piccola fonte di ispirazione per Castrum di Marco Bergamaschi 😉
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FONTI
-
Filippo Di Leo, Enciclopedia dei fantasmi e
degli spiriti, La Spezia, Libritalia, 2002
-
La dama bianca e altre leggende sui castelli del
Nordest - Walter Esposito - Lampi di Stampa - 2018
-
Anna Maria Carassiti, Dizionario di mitologia
greca e romana, Roma, Newton & Compton, 1996, pp. 365, ISBN 88-8183-262-3.
-
Pierre Grimal, Le Garzantine, Mitologia,
Bergamo, 2007.
-
John Keats, Lettere sulla poesia, a cura di
Nadia Fusini, Mondadori, 2014, ISBN 88-520-5798-6.
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