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IL PRIMO PASSO - "Castrum": storia di un romanzo imprevisto


Sto cercando di carburare e calarmi meglio in questa nuova avventura, scusatemi quindi se vado a rimestare sempre su mie produzioni, vi assicuro che è solo per fare pratica ed entrare nel mood del blogger (per questi inglesismi la mia prof del liceo mi avrebbe ucciso, ma sono altri tempi adesso).
Quindi, a parte la pagina su questo blog dedicata al mio primo libro, vorrei spendere due parole non solo per approfondire i temi che ci sono nel romanzo ma anche per far capire a cosa aspiro con questo blog: vorrei che innanzitutto fosse un luogo di confronto, di chiacchiera aperta non solo sulle vicende che ho narrato e scritto ma anche e soprattutto per tutto un universo storico (reale) e mitologico (fantastico ma anche documentato) che non ho inventato, ma in cui ho calato quanto ho scritto finora e quando credo scriverò ancora...

Parliamo quindi del primo nato, CASTRUM.
Romanzo perché narra una vicenda, Storico perché cerca di immergersi nella storia e attingere da lei idee, fatti e avvenimenti non solo per rendere credibile e plausibile la vicenda ma anche per far risaltare appunto quei personaggi che magari non sono realmente esistiti così come li ho descritti, ma qualcuno di simile di sicuro c’era in quel momento. Il contadino, l’armigero, l’oste, il prete, donne e uomini sconosciuti che con le loro azioni, grandi o piccole che siano hanno cambiato o comunque lasciato una impronta nella storia ancora oggi visibile.
“Mi scuso con la storia, quella vissuta e quella scritta, per aver sfruttato alcune delle sue pieghe per infilarci i personaggi di questa vicenda.Mi scuso infine con gli stessi personaggi realmente esistiti, che qui hanno fatto capolino e a cui non ho reso pienamente giustizia, nel bene o nel male. […] nonostante tutte le invenzioni di pura fantasia di cui mi sono servito, ho anche pescato a piene mani in fatti, luoghi e personaggi realmente esistiti nell'epoca in cui è ambientata la vicenda che ho narrato. […] Tutto questo ve lo rivelo anche a costo di sminuire la mia fantasia di scrittore, soprattutto per dimostrarvi che ogni angolo nasconde storie favolose e romantiche e che la bassa lodigiana sta ancora conservando ma non gelosamente; anzi, se potesse parlare vi narrerebbe storie meravigliose che sono sotto gli occhi di tutti e che soltanto passando lungo il nostro bellissimo fiume si possono assaporare, sentire e vivere profondamente.” (pag. 304-307)
Questo estratto, esterno alla storia in se che narro nel libro, rende l’idea di chi e cosa mi ha ispirato. Un profondo amore per la mia terra, la sua storia, i suoi miti e leggende.
Partendo proprio da questo vorrei dire che la causa scatenante del mio desiderio di scrittura è stato un lavoro di ricerca a fine lavorativo (facevo il bibliotecario e volevo organizzare una rievocazione storica nel mio paese) e mi sono imbattuto in questa storia reale e documentata del Marchese Gerolamo Pallavicino (stabilmente residente in paese) che nel 1555 ha sposato una semplice contadina che lavorava nei campi vicino al castello e di cui si sapeva poco e niente tranne che era di origine piacentina, sola in paese e che si chiamava Eleonora Viritelli. Tutto è partito quasi per gioco e la natura stessa della storia mi aveva fatto propendere a scrivere quasi una fiaba con giusto due rimandi storici. 
Tornando brevemente all’evoluzione da fiaba in romanzo (che pesca a piene mani nella storia) è presto detto: volevo inventarmi un personaggio a corredo della fiaba e che fosse quasi un antagonista del marchese, uno del popolo insomma e ho scritto di getto la sua descrizione e che per buona parte ho conservato nel romanzo finale.

“A riva, come riscosso da quel rumore inatteso, un lupo dal manto cinereo, attento ad ogni minimo movimento che possa segnalargli una preda, alza lo sguardo in direzione delle onde per incontrarvi due occhi, profondi come i suoi, che lo fissano dal centro del fiume in una sorta di muto scambio di impressioni ed intenti. Così, come se avesse riconosciuto nell'uomo un predatore più degno di lui a passare per quei luoghi, l'animale si allontana da una zona di caccia che più non sente appartenergli.Non si scorge molto del proprietario degli occhi di tenebra; ad uno sguardo poco attento si direbbe uno dei tanti mercanti che sperano di accaparrarsi qualche buona pelle da rivendere ai mercati fiorentini. Un mantello con cappuccio nero di ottima fattura che, alla moda veneziana, ricopre quasi totalmente il suo corpo, lasciando giusto intravedere nella foschia il bagliore degli occhi e, se la nebbia aprisse uno spiraglio, lo si potrebbe, strano a dirsi, veder sorridere.Non è un colosso, ma tutto in lui denota una forza che è più d'animo che di muscoli ed una sicurezza che è sempre benaccetta sia sul campo di battaglia che in un vicolo buio. Si notano subito le spalle larghe e la statura importante, questo nonostante tenga il corpo proteso in avanti usando come punto di appoggio la prua dell'imbarcazione. Questa postura lascia però intravedere, oltre agli stivali di morbida pelle, anche alcuni particolari del suo abbigliamento che, visti la calzamaglia scura e il farsetto rinforzato, è senza alcun dubbio quello di uomo aduso alle armi, anche se stupisce l'assoluta assenza di spada o pugnale appesi al cinturone di cuoio confezionato per quello scopo.” (pag. 21)
A questo punto è successo qualcosa di inaspettato, questo personaggio mi affascinava, volevo scavare nella mia testa per saperne di più di lui, da dove veniva, perché era lì. In poche parole la fiaba è diventata prima la storia di questo personaggio e poi il suo essere uomo d’armi (ma non solo) ha catalizzato a se altri eventi realmente avvenuti al di fuori del piccolo paese dove abito e dove ho comunque ambientato il grosso della vicenda.

Restava però un nodo che volevo rispettare: l’amore. Volevo comunque narrare qualcosa con un fondo di romanticismo, sfruttando comunque un desiderio che fin dall’università covavo scrivendo semplici racconti e poesiole strappalacrime (le mie e di pochissimi altri). Però la storia tra un nobile e una contadina mi sembrava priva a questo punto di ispirazione e volevo qualcosa di diverso per il neonato protagonista.

“Era l'anniversario del suo ritrovamento; come ogni anno si era recato nel bosco fino ad un punto particolare, lo chiamava “il sasso”: non era che una roccia levigata posta sotto le fronde di un salice e vicino ad uno stagno, creato dalle acque risorgive del vicino fiume. Era un luogo molto appartato, sapeva che era conosciuto da altri, ma gli piaceva definirlo suo; l'unico posto in cui lasciava la corazza di fermezza per ritrovare la pace con il suo io più profondo, tutt'altro che bellicoso. Come spesso accade, fu proprio in quel momento di vulnerabilità che venne colpito al cuore da quello sguardo tanto cercato e mai, in fondo, sperato di trovare. Una creatura silvestre sbucata dal nulla; una ragazza, coi capelli che avevano rubato il colore ai riflessi dorati del sole tra le fronde degli alberi e due occhi così profondi da poterci scorgere l'infinito: era lì, ferma davanti a lui, ad osservarlo. Non furono solo questi particolari a farlo capitolare, ma anche la sua voce: le sue risate e alcune sue espressioni che fecero capolino durante quel primo dialogo. Non ricordava praticamente niente di quello che si erano detti in quel primo incontro; la sua memoria era totalmente impegnata a cogliere e trattenere ogni minimo particolare di lei, solo il suo nome gli era rimasto marchiato a fuoco nel cuore e nella testa: Berenice.” (pag. 55-56)
 Ero lanciatissimo dal punto di vista dello scrittore, mai avevo pensato di essere in grado di scrivere un intero romanzo, le idee si accavallavano e prendevano forma e così mi ritrovavo a fare ricerche sempre più approfondite sulle tattiche militari, la forgiatura delle armi, l’addestramento degli armigeri, ma anche su usi e costumi, modi di fare e anche di mangiare all’epoca, perché volevo che tutto fosse il più veritiero possibile, non potevo avere l’esattezza storica volendo di base protagonisti che fossero persone comuni, ma una totale plausibilità di eventi e di ciò con cui avrebbero interagito i vari personaggi, anche dal punti di visto delle loro credenze personali (reali o mitiche che fossero).


“Due degli armigeri, Ferdinando e Ruggero, stanno affrontandosi con le spade nel quadrato d'addestramento, mentre gli altri si lasciano andare a invettive nei confronti dell'uno o dell'altro. Lo scopo dell'esercizio è cercare di spingersi, a suon di fendenti, al di fuori di un rettangolo di circa tre passi di lunghezza per due di larghezza, contrassegnato sul pavimento da particolari piastrelle.  In teoria questo dovrebbe sviluppare riflessi e muscolatura, ma soprattutto insegnare a lottare in uno spazio ridotto, come potrebbe essere quello in battaglia, riducendo al minimo i movimenti, per evitare sia il dispendio di energie che di intralciare un altro combattente che potrebbe trovarvisi a fianco.” (pag. 136)“- Con che metalli stai lavorando?- Batto insieme strati di ferro e ghisa roventi. È difficile e dispendioso, ma il risultato è ottimo, le lame sono più resistenti e leggere. - spiega in breve Ulrich.- Ma il problema è che non riesci a eseguire una spada uguale all'altra giusto? Alcune sono più resistenti ma di difficile affilatura, mentre altre che si affilano meglio non sono abbastanza resistenti.- Ti intendi anche di metalli? - si fa sentire Gualtiero, con un cenno di sarcasmo che, a quanto pare, non lo abbandona mai.- No, ma ho letto molti trattati sull'argomento.La risposta lascia sbigottiti i due armigeri, ma non il Pallavicino che domanda:- Pensi che si possano migliorare le nostre lame?- Forse, ma dovremo lavorare almeno in tre o quattro per la prima lama.Ottenuto l'assenso del marchese, tutti e quattro si mettono all'opera seguendo le direttive di Valente.- Per prima cosa mi servono dei crogioli… Delle anfore di argilla. Forse c'è qualcosa in cucina. Poi credo che saranno molto utili il ferro e il carbone che avete qui, ma avrò bisogno anche di vetro… Potete procurarmelo?- Certo -  risponde il Pallavicino. - ordinando a Gualtiero di andare a prendere brocche e bicchieri.Valente intanto, con l'aiuto di Ulrich prepara pezzi più piccoli di ferro. Appena tornato Gualtiero con tutto il necessario, la strana procedura comincia. Gli orci di argilla vengono riempiti con ferro, carbone e pezzi di vetro, per essere poi messi all'interno del forno della fucina. A questo punto Gualtiero e Ulrich azionano il mantice per alimentare il fuoco, facendo diventare molto più caldo il forno. Lentamente il ferro fonde insieme al carbone e di lì a poco, sulla superficie dei crogioli, cominciano ad addensarsi dei grumi.- Vedete - spiega Valente - quelle impurità che vedete, sono vetro e carbone che si addensano. - e rivolto ad Ulrich - Quando tu batti con il maglio su ghisa e ferro non fai altro che far passare nel ferro il carbone della ghisa, ma non riesci a controllare esattamente quanto. Così ti ritrovi con delle lame tutte diverse.- Va bene, ma allora anche facendo in questo modo non ottieni niente, perché ferro e carbone, come hai detto, rimangono separati. - chiede UlrichValente lo guarda con il suo mezzo sorriso compiaciuto, notando la preparazione del fabbro e prosegue:- Non esattamente. Perché il vetro trattiene solo le impurità, mentre il carbone che ci interessa sta entrando nel ferro nella quantità che ci serve.Qualche ora dopo, tolte le impurità in superficie e fatto solidificare  nello  stampo  il  metallo  fuso,  Ulrich      può finalmente lavorarlo con minore fatica. Il risultato, dopo l'affilatura e montate elsa, impugnatura e pomolo, è una lama leggerissima. Poi nelle mani esperte di Valente, che la fa roteare con grande eleganza, il peso sembra perderlo del tutto. Il filo, risulta molto ben molato, questo senza dubbio grazie alla forza e alla perizia di Ulrich nella prima affilatura. Il Pallavicino, più che soddisfatto si avvicina a Valente che gli porge la spada.” (pag. 143-145)


Questo è quanto al momento ho in cuore di rivelare, ho cercato un finale ad effetto, una specie di battaglia campale (per le dimensioni del borgo) e anche quella è veramente avvenuta nelle circostanze che narro. Ho pescato a piene mani nei miti e nelle leggende, una in particolare l’ho utilizzata per un racconto che è uscito in una antologia del mio editore: "L’isola nella nebbia” è il nome dell’antologia mentre il mio racconto (il primo della raccolta per meriti solo alfabetici) e si intitola “Emozione”. È ambientato nello stesso “universo” del CASTRUM anche se lo precede di qualche epoca fino ad arrivare a lambirne le vicende sul finale.
Un mio nuovo romanzo storico è in fase di edizione, il titolo sarà MALLEUS e prende le mosse nel 1567 a dodici anni dalla fine di CASTRUM non è un seguito vero e proprio, lo capirete se leggerete CASTRUM, ma sfrutta il suo universo e uno dei personaggi secondari del Castrum ne è il protagonista e incrocia dei fatti storici abbastanza inquietanti che hanno caratterizzato i paesi vicini del Castrum in quel periodo, anche se la stessa natura di questi fatti mi ha fatto scendere il romanzo in una zona narrativa un po’ più cupa. Diciamo quindi che sarà una sorta di spin-off, ma la sua natura “dark” e il mio desiderio di farne un’opera slegata ne farà un libro che pur con qualche rimando alla vicenda che ho già scritto sia leggibile e concludibile da solo.

In teoria ho idee anche per un terzo libro e ho imbastito le idee anche per questo altro romanzo, ma non voglio cominciarlo finché non ho liberato lo spazio nella mia testa ancora occupato da MALLEUS,  per ora mi sono appuntato le vicende storiche che voglio toccare visto che lo voglio ambientare tra il 1571 e il 1579. Piccolo SPOILENR: posso dirvi che verterà sulla battaglia di Lepanto e sulla peste di Milano (quella di San Carlo per intenderci) e il protagonista sarà un personaggio secondario di MALLEUS e legato in qualche modo sia al CASTRUM che anche al racconto “EMOZIONE”.
Spero di avervi incuriosito, commentate, scrivetemi e magari leggetemi... I prossimi post prometto saranno più generali e meno incentrati su un mio libro, prederò comunque le mosse da qualcosa che ho scritto per il semplice fatto che un altro dei miei obiettivi è allargare (anche per me) la conoscenza di questo meta-universo narrativo a metà strada tra la storia vera e reale e le leggende che permeano la mia terra.



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