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LEGGENDE: Cerva d'oro



Sebbene in tutto quello che ho pubblicato qui finora abbia sempre citato miti e leggende legati al tema che trattavo, ho notato di aver tralasciato (Tarantasio a parte, ma lui è qualcosa che forse va oltre il mito) la sezione leggende pura e semplice. Mi sono quindi sentito in obbligo di produrre per questa settimana qualcosa di degno e al tempo stesso spero intrigante…

Ecco quindi a voi il "sunto" di una delle leggende orali più famose della bassa lodigiana (e non solo): la leggenda della CERVA d’ORO.

Piccola precisazione prima di cominciare: anche in questo caso, come in quello del drago Tarantasio, abbiamo numerosissime versioni differenti che cercherò quindi di inglobare nei tratti più comuni, ma, essendo questa leggenda stata tramandata principalmente in maniera orale, le versioni sono pressoché infinite ed essendo anche particolarmente antica, nel corso dei secoli (sì, parliamo di decine di secoli) si è arricchita di contaminazioni e di riferimenti dei più disparati. Cercherò quindi di tenere fede al nocciolo della leggenda maggiormente narrata nelle nostre zone dedicando a queste “interferenze” una loro sezione.


EPOCA DI SVOLGIMENTO

I problemi cominciano già qui… Tutte le versioni parlano di molti anni fa, ma non così tanti da averne perso la memoria... che vuol dire tutto e niente... In genere la narrazione comincia con una frase tipo: “quando i nonni dei miei nonni erano bambini i loro nonni raccontavano questa leggenda…” È facile comprendere come le radici siano molto antiche e non stupisce che si possa far risalire il primo nucleo di questa leggenda alla mitologia celtica (in cui il cervo è considerato un animale sovrannaturale) oppure alla mitologia greco-romana (dove il cervo compare spesso in relazione alle divinità della natura).


AMBIENTAZIONE

Il luogo dove si svolge la leggenda è invece pressocché concorde. I margini di una foresta, in prossimità di un corso d’acqua (fiume, torrente, limitare di un laghetto poco importa l’importante è che ci sia dell'acqua), dove l’animale si può abbeverare e dove potrebbe anche essere ammirato dall’osservatore (nonché co-protagonista della leggenda).
Anche il momento della giornata in cui la scena si svolge è concorde in tutte le versioni: un tardo pomeriggio di inizio primavera con i raggi del sole che creano strane ombre con le foglie degli alberi mentre portano l’ultimo tepore della giornata prima di perdersi nel tramonto.


PROTAGONISTA

LEI non ha bisogno di molte presentazioni (almeno all’interno del racconto) è una cerva dalle corna d’oro splendente come anche il suo manto (che in alcune versioni però diventa candido), gli zoccoli pure sono di metallo (argento o bronzo). È vigile, si muove furtiva e attenta mentre esce dalla protettiva foresta verso l’acqua di cui si abbevera. Niente però intorno le sfugge, pronta a scappare se un suono dovesse inquietare la pace di cui è regina, ma al tempo stesso affascinante e vanitosa nel lasciarsi osservare da colui che si dimostra devoto e rispettoso della natura di cui lei è protettrice.


ORIENTAMENTO

Tendenzialmente buona e generosa con tutti coloro che se lo meritano, ma attenzione al volerla seguire contro la sua volontà, perché a quel punto potrebbero cominciare i rischi.


CIAK

Veniamo quindi alla narrazione della versione più completa e tramandata…

Quando i nonni dei miei nonni erano bambini, i loro nonni erano soliti raccontare questa leggenda... Nel boschetto che una volta cresceva vicino al fiume, dove ancora voi andate a giocare, viveva una creatura fantastica. La CERVA d'ORO. Non la si vedeva mai uscire dalla foresta di cui era insieme protetta e protettrice salvo che all'inizio della primavera e, anche in quel periodo, solo per un piccolo momento della giornata: quando il sole del pomeriggio cominciava scendere e lanciava i suoi ultimi caldi raggi verso le fronde degli alberi. Era allora che la cerva usciva dal suo rifugio per abbeverarsi. Avreste dovuto vederla! D’oro splendente aveva le corna ed il manto, tanto che non si capiva se fosse lei a risplendere per la luce del sole o addirittura il contrario.
Un giorno, un ragazzo la vide e non poté più toglierle gli occhi di dosso. Con l’aiuto dell’erba alta si era ben nascosto per poterla rimirare, senza spaventarla, per quei pochi momenti al giorno. Fece così per un’intera settimana, poi non la vide più. Era passato purtroppo quel poco tempo dell'anno in cui la cerva trascorreva qualche momento fuori dalla foresta. Il ragazzo però era certo che negli ultimi giorni Lei si fosse accorta di lui e, ciononostante, era continuata a venire.
I giorni passavano, ma della cerva nessuna traccia. Passò quasi un anno intero ed il giovane continuava a recarsi nel luogo dove per la prima volta aveva visto la sua cerva. Era ormai prossimo alla pazzia quando, finalmente, in un tardo pomeriggio di inizio primavera, eccola comparire di nuovo. Il ragazzo non seppe trattenersi, corse fuori dal nascondiglio pazzo di gioia, con nel cuore solo il desiderio di abbracciare quella creatura che da un anno popolava i suoi sogni.
La cerva si impaurì e fece per scappare tra gli alberi, ma all'improvviso parve riconoscere il giovane che tanto l’aveva guardata l’anno prima: così rallentò la sua corsa fino a farsi quasi raggiungere per sparire poi, insieme, nel folto della foresta.


FINALE
Si narra che l’anno successivo la cerva si fece ancora vedere ad abbeverarsi sul limitare del bosco, ma, poco distante da lei, a guardarla e a proteggerla, ci fosse un giovane cervo; infatti la Dea, cui era cara la Cerva d’oro, aveva visto la purezza e la sincerità dell’amore nel cuore del ragazzo e aveva deciso di permettere loro di vivere fianco a fianco.


FINALE AGGIUNTIVO/ALTERNATIVO
La voce della sparizione del giovane aveva fatto il giro delle contrade, tutti sapevano ormai dell’esistenza della cerva d’oro e alcuni addirittura arrivarono a credere che il ragazzo fosse veramente riuscito a catturare la cerva e, grazie al suo prezioso manto, aveva fatto fortuna e così non era più tornato in quei borghi. Un cacciatore senza alcuno scrupolo, sentito però che la cerva d’oro era tornata ancora a farsi vedere sul limitare della foresta, pensò invece che il ragazzo aveva fallito e che non si fosse più fatto vedere per la vergogna. Decise così di tentare lui la cattura. Si appostò nel luogo dove la cerva era solita apparire con arco e frecce pronti. Appena la vide scoccò subito la freccia che, inspiegabilmente, mancò il bersaglio: anche le due successive non andarono a segno. Mentre la cerva, veloce, stava per ritornare nel bosco, il cacciatore furioso cercò di raggiungerla nella foresta per vederla poi scomparire definitivamente insieme ad un giovane cervo nel profondo della foresta. Si era ormai fatto quasi buio e il cacciatore, sconfitto, decise di lasciare il bosco, ma senza successo. Le tenebre calarono e lui si vide costretto a passare lì la notte. Fu per lui un sonno popolato di incubi e paure. Ad un tratto sentì una voce: “Tu sia maledetto uomo, per non aver portato rispetto alla natura e ai suoi tesori”. Udito questo anatema il cacciatore si svegliò di colpo e decise di aspettare il mattino desto per trovare poi facilmente la strada di casa. Ma il mattino non arrivò mai più per lui: condannato in un limbo di tenebra eterna per la sua avidità ed avventatezza.

CONTAMINAZIONI

Se, per caso, mi legge qualche appassionato di mitologia classica non possono essergli sfuggiti i numerosi parallelismi con la Cerva di Cerinea (conosciuta anche come Cerva dai piedi di bronzo), protagonista di una delle dodici fatiche Eracle (per i puristi della mitologia greca) e che, da qui in avanti, chiamerò con il suo nome romano Ercole: più conosciuto e anche perché così evito fastidi da quel pignolo dell'auto-correttore.

Mi permetto un piccolo ripassino di mitologia (l'ho dovuto fare anch'io prima di scrivere questa parte)... 
La Cerva di Cerinea era una creatura velocissima (proprio per i suoi piedi di bronzo) e cara alla Dea Artemide per cui il suo sangue non poteva essere versato: pena la collera della divinità. Ercole nella sua terza (o quarta) fatica doveva appunto catturare questa inafferrabile cerva. Ci riuscì dopo un anno intero di inseguimenti quando finalmente la sfuggente preda si fermò ad abbeverarsi presso un fiume, stanca dopo aver corso anche attraverso le terre degli Iperborei (Nord-Europa, Scandinavia o addirittura Islanda e Groenlandia secondo alcuni). Ercole fu anche abile a non versare il sangue della cerva, evitando l’ira della Dea, prendendole solo le corna d’oro come simbolo del compimento dell’impresa.

Vediamo già tanti punti in comune con la nostra leggenda: le corna d’oro, l’essere praticamente imprendibile, ma anche l’anno necessario anche solo per riuscire ad avvicinarla.
Non dimentichiamoci poi della protezione di una divinità come Artemide. Artemide infatti non era soltanto la protettrice degli animali selvatici, ma formava una specie di "trimurti" e per questo era detta anche Artemide Trivia (per la sua triplice valenza): identificata come Selene (dea della luna nel cielo), Artemide (dea della terra) ed Ecate (dea del mondo degli inferi): questa sua valenza “negativa” si sposa tra l'altro alla perfezione con il finale più cupo della nostra leggenda.
Una unione nel corso dei secoli delle due leggende era quasi scontata, tanto che appunto nelle versioni “contaminate” vediamo la nostra CERVA fuggire per l’ennesima volta dalla sua foresta in Arcadia e stabilirsi qui, sulle rive dell’Adda o del Po, ricche d’acqua e un tempo anche ricche di foreste.


UN FONDO DI VERITÀ

Come tutte le leggende anche questa della CERVA d’ORO ha la sua base di verità. È infatti noto come "cerva d’oro" il fenomeno della rifrazione luminosa tra gli alberi, visibile appunto nei pomeriggi di inizio primavera grazie alle giornate particolarmente terse e non ancora calde e al sole basso sull'orizzonte.  
Nella foto in alto l’esempio migliore che sono riuscito a trovare, mentre qui di fianco una cerva d’oro “originale” fotografata da me qualche anno fa durante una corsetta lungo le rive della Muzza.
Sappiamo come spesso le leggende servano a spiegare un fenomeno reale e cosa di meglio di una sfuggente CERVA può ricordare le figure dai tratti animaleschi create dalla luce e come tale, fuggevoli, mutevoli ed inafferrabili...


CITAZIONI

Come anche per Tarantasio preferisco lasciare la chiusura a qualcuno più degno di me...
Questa volta trattasi di Francesco Petrarca: si potrebbe perfino scrivere un libro su tutte le figure che il poeta evoca nel sonetto n°190 del suo Canzoniere, eppure io non riesco a non vederci che una sublime composizione in onore della nostra CERVA d’ORO…

Una candida cerva sopra l'erba
verde m'apparve, con duo corna d'oro,
fra due riviere, all'ombra d'un alloro,
levando 'l sole a la stagione acerba.
 Era sua vista sí dolce superba,
ch'i' lasciai per seguirla ogni lavoro:
come l'avaro che 'n cercar tesoro
con diletto l'affanno disacerba.
 «Nessun mi tocchi - al bel collo d'intorno
scritto avea di diamanti et di topazi -
libera farmi al mio Cesare parve».
 Et era 'l sol già vòlto al mezzo giorno,
gli occhi miei stanchi di mirar, non sazi,
quand'io caddi ne l'acqua, et ella sparve.

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FONTI

-  Dizionario storico geografico del lodigiano / Giovanni Agnelli. - Rist. anast. - Lodi : Lodigraf, stampa 1990. - VIII, 328 p. ; 31 cm - Facs. dell'ed.: Lodi : Tip. editrice Della Pace, 1886
-  Atlante storico-geografico dei comuni del Lodigiano : il territorio, le istituzioni e la popolazione dal Ducato di Milano alla Provincia di Lodi / di Angelo Stroppa ; introduzione di Ferruccio Pallavera ; ricerca iconografica di Pasqualino Borella. - [Lodi] : Consorzio del Lodigiano, stampa 1994. - 127 p. : ill. ; 33 cm - Ed. fuori commercio
-  Anna Ferrari, Dizionario di mitologia greca e latina, Torino, UTET, 1999 ISBN 88-7750-754-3
- Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta) raccolta di 366 liriche di Francesco Petrarca scritte nell'arco di tutta la vita approssimativamente tra il 1336 e il 1374

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